Il tempio e la tavola

Cibo e ritualità nei templi indiani

 

 

In India, mangiare è un atto sacro. Questo principio prende forma concreta nei templi, dove la cucina non è soltanto preparazione di cibo, ma rituale, preghiera e dono. In nessun altro luogo la spiritualità si fonde così profondamente con il gusto come nelle gigantesche cucine collettive del Sud e nei rituali quotidiani delle divinità venerate. Il prasadam, il cibo offerto agli dei e poi condiviso con i devoti, è il simbolo di questa unione mistica tra fede e nutrimento. 

Il significato del prasadam

La parola prasadam significa letteralmente “grazia” o “benedizione”. Non si tratta solo di cibo, ma di un dono divino. Il rito inizia con la preparazione del piatto da offrire alla divinità, eseguito secondo regole precise e con ingredienti puri. Una volta offerto sull’altare, il cibo è considerato trasformato: è passato dalle mani dell’uomo a quelle del dio, e poi restituito al devoto come segno di benevolenza.

Il prasadam può variare da semplici frutti o dolci a piatti complessi come il pongal (riso speziato) o il khichdi (riso con lenticchie), a seconda della regione e della divinità a cui è destinato. 

Le cucine dei templi del Sud India

Nel Sud India, i templi non sono solo luoghi di culto ma vere e proprie cittadelle autosufficienti. Alcuni tra i più grandi templi del mondo ospitano cucine gigantesche, in grado di sfamare ogni giorno migliaia di persone.

  • Tirupati: il tempio che sfama milioni Il tempio di Venkateswara a Tirupati (Andhra Pradesh) è uno dei più visitati al mondo. La cucina del tempio prepara quotidianamente oltre 100.000 porzioni di laddu, un dolce a base di farina di ceci, burro chiarificato (ghee) e zucchero, distribuito come prasadam. Tutto il processo avviene con metodi tradizionali, ma su scala industriale: ci sono enormi calderoni di rame, catene di montaggio umane, e volontari che operano in silenzio, in segno di rispetto.
  • Puri Jagannath: dove il fuoco non si spegne mai Nel tempio di Jagannath a Puri (Odisha), la cucina è un esempio unico di continuità rituale, oltre 500 cuochi e 300 aiutanti lavorano in una cucina a legna che funziona da secoli senza interruzioni. I piatti sono cotti in pentole d’argilla impilate una sopra l’altra, e il cibo della pentola superiore cuoce prima di quello inferiore: un mistero ancora inspiegabile. Il menu quotidiano include fino a 56 preparazioni diverse, tra cui riso, curry di verdure, dolci a base di latte e lenticchie speziate, tutto rigorosamente vegetariano.
cibo e ritualità nei templi indiani

Il langar nei templi sikh: cibo e uguaglianza

Un’altra espressione potente del connubio tra cibo e spiritualità è il langar, il pasto comunitario gratuito offerto in ogni gurdwara (tempio sikh). Lì, ogni giorno, volontari di ogni età e ceto cucinano e servono migliaia di pasti vegetariani, aperti a tutti, indipendentemente da religione, casta o status sociale.

Il tempio d’Oro di Amritsar, cuore spirituale del sikhismo, serve fino a 100.000 pasti al giorno. Qui, il concetto di “servizio disinteressato” (seva) si manifesta nel pelare cipolle, impastare chapati, lavare pentole e servire riso con lenticchie calde a chiunque si presenti.

La cucina satvica: purezza e intenzione

Nei templi indiani, la cucina segue spesso i principi satvici, cioè della purezza e dell’equilibrio. Gli alimenti satvici sono vegetariani, freschi, cucinati con amore e senza aglio, cipolla o funghi, considerati elementi che stimolano eccessivamente i sensi.

Questa filosofia non riguarda solo gli ingredienti ma anche lo stato mentale di chi cucina: si ritiene che le emozioni del cuoco si trasferiscano nel cibo. Per questo, spesso chi cucina lo fa dopo essersi purificato, in silenzio, ripetendo mantra o preghiere.

Il risultato è un cibo non solo gustoso, ma anche capace di calmare la mente e nutrire l’anima.

Cibo come atto di devozione e comunità

Mangiare insieme nei templi indiani non è solo una questione pratica: è un atto di uguaglianza. Tutti siedono a terra, in fila, senza distinzione di ricchezza o posizione sociale: si mangia con le mani, a volte su foglie di banano, condividendo un pasto che ha attraversato il regno del sacro.

In questi contesti, la cucina diventa un linguaggio silenzioso di amore e rispetto. Offrire da mangiare è offrire sé stessi, condividere ciò che si ha, e dissolvere per un attimo ogni barriera: nei templi indiani, il cibo non è mai solo cibo. È un messaggio d’amore, un’offerta di pace, un ponte tra umano e divino. Che si tratti del dolce laddu di Tirupati, del riso fumante del langar sikh o delle preparazioni rituali offerte a Krishna, ogni piatto racconta una storia di fede, condivisione e gratitudine. (O di festeggiare Buddha).

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